Si parla di Palestina solo quando cadono le bombe articolo di Franca Marini in Left n. 20 21-27 Maggio 2021
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Una nuova escalation di violenza riporta all’attenzione mediatica uno dei più irrisolti e dimenticati conflitti dei nostri tempi, quello israelo-palestinese.
Colpisce come dai media ufficiali l’oppressore venga immancabilmente trasformato in vittima e l’oppresso in terrorista. Al coro internazionale levatosi a sostegno del diritto di Israele a difendersi dai razzi lanciati da Hamas non ha fatto eco il diritto altrettanto legittimo del popolo palestinese a difendersi dall’espropriazione illecita di case e di terre e da una feroce occupazione militare che si protrae da oltre 50 anni. Occupazione noncurante di leggi internazionali e risoluzioni del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, responsabile di un sistema di controllo e segregazione razziale che anche organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani come B’Tselem non esitano a definire un regime di apartheid.
Sarebbe importante quanto necessaria una analisi profonda sull’evidente scotomizzazione della realtà di oppressione che vive il popolo palestinese da parte dei media e dell’opinione pubblica internazionale e che forse non dovrebbe esaurirsi in considerazioni legate a interessi ed equilibri geopolitici. La politica di pulizia etnica messa in atto dal governo di Israele crea una profonda inquietudine nel riecheggiare una delle più grandi tragedie umanitarie del XX secolo di cui proprio il popolo ebraico è stato la principale vittima.
Per capire come si è innescato questo ennesimo scontro, che vede la Striscia di Gaza nuovamente teatro di una massiccia offensiva militare israeliana, ci avvaliamo della testimonianza diretta di Meri Calvelli che a Gaza vive e lavora da anni. Direttrice del Centro Italiano di scambio culturale VIK, fondato a Gaza City in memoria dell’attivista per i diritti umani Vittorio Arrigoni, Meri è una profonda conoscitrice della questione palestinese. Da anni è impegnata con la ong ACS in progetti di sviluppo e cooperazione a Gaza dove ha vissuto in prima persona i conflitti armati tra Israele e Hamas succedutisi a partire dalla vittoria alle elezioni nel 2006 di Hamas e dal conseguente blocco terrestre, marittimo e aereo imposto da Israele alla Striscia di Gaza.
Raggiunta telefonicamente, pone immediatamente l’accento su ciò che distingue questo conflitto dai precedenti. “Di Gaza - afferma con amara ironia - si parla solo quando cadono le bombe e alle bombe ci siamo abituati. Il fatto nuovo di questo conflitto è che è nato a Gerusalemme riportando alla ribalta il tema annoso di Gerusalemme capitale delle tre grandi religioni monoteiste.”
E’ importante ricordare che il Parlamento Israeliano, promulgando nel 1980 la Jerusalem Law, condannata dal Consiglio di sicurezza che l’ha definita una violazione del diritto internazionale, ha proclamato unilateralmente Gerusalemme capitale unica, indivisibile ed eterna dello Stato di Israele.
“Dal 13 Aprile, dagli inizi del Ramadan, il mese sacro del digiuno e della preghiera dei fedeli di religione islamica, Gerusalemme è stata lasciata alla mercé di gruppi di coloni violenti, autorizzati a girare armati, appartenenti alle fazioni della destra estrema sionista e nazionalista entrate a far parte del parlamento israeliano alle recenti elezioni. Questo - sottolinea Meri - non viene denunciato, riportato dai media. Artefici della distruzione di negozi di cittadini arabi, di scorribande nella Spianata delle Moschee, hanno aggredito e picchiato fedeli musulmani innescando una spirale di violenza che potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile.”
Come testimoniano i video che girano in rete, i coloni sono inoltre entrati con la forza nelle case delle famiglie arabe che abitano nel quartiere di Skeik Jarrah a Gerusalemme est dove sono in corso degli sfratti. Le azioni illecite di questi gruppi di coloni terroristi sono rimaste impunite mentre la polizia israeliana ha attaccato brutalmente manifestazioni pacifiche in difesa delle famiglie che rischiano lo sfratto, alcune trasferitesi a Skeik Jarrah con lo status di rifugiato nel ’48, anno della nascita dello Stato di Israele.
Potenti organizzazioni di coloni rivendicano la proprietà di quelle case, in alcuni casi apparentemente legittimati dal fatto che il terreno apparteneva ai loro avi ai tempi del dominio ottomano.
“I tribunali israeliani - precisa Meri - hanno già emesso le ordinanze di sfratto per decine di famiglie, momentaneamente bloccate dalla Corte suprema israeliana poiché la situazione si è fatta incandescente. La destra israeliana fondamentalista della società ebraica attraverso l’occupazione sta’ portando avanti una vera e propria pulizia etnica.”
Continua ricordando come a Gaza le grandi marce pacifiche del Ritorno dei venerdì, iniziate nel marzo del 2018, siano state stroncate dai colpi d’arma da fuoco sparati dai militari israeliani lungo il confine sulla popolazione indifesa, mentre Hamas che continua a lanciare razzi, nonostante non possa vincere militarmente Israele, incentiva e giustifica agli occhi del mondo la recrudescenza del contrattacco israeliano che colpisce non solo obiettivi strategici ma anche civili.
Il 10 Maggio, in risposta ai razzi lanciati dalla Striscia verso Israele dopo l’ultimatum rimasto inascoltato di Hamas che imponeva al governo di Israele di ritirare le truppe dalla Spianata delle Moschee e dal quartiere di Sheikh Jarrah, è stato diretto un attacco aereo israeliano a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, che ha ucciso civili tra cui tre bambini intenti a giocare in un prato.
“Il prezzo più alto dello scontro a Gaza lo pagano i più deboli, le donne, i bambini. I progetti di cooperazione internazionale e gli scambi culturali mirano a incidere proprio sulla parte più vulnerabile della popolazione. ”Parla del progetto Green Hopes, una discarica abusiva trasformata in un parco multifunzionale con un tendone da circo e una pista di skateboard, un progetto rimasto interrotto a causa dell’emergenza Covid-19 e ripreso da qualche mese. “Ma ora tutto è da ricominciare. La forza d’animo del popolo palestinese è encomiabile ma ad un passo in avanti ne seguono sempre cento indietro.”
Elenca il numero dei palazzi distrutti dai bombardamenti israeliani e quello dei morti. Tornano alla mente le immagini delle macerie di Gaza quando vi arrivai insieme a lei e agli altri partecipanti del primo scambio culturale organizzato dal Centro VIK, poco dopo la fine dell’offensiva israeliana Margine Protettivo. Inaccettabile che dopo 7 anni di faticosa ricostruzione la popolazione di Gaza, già strangolata da un assedio che non possiamo che definire disumano e che dura da 15 anni, debba nuovamente confrontarsi con morte e distruzione.
Ricordo la voglia di ricominciare che leggevo negli occhi di uomini e donne, l’entusiasmo e la creatività delle giovani artiste che dipingevano sui muri di Gaza City.
La capacità d’immaginare e la speranza di una vita diversa non cessano fintanto la vita continua.
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Una nuova escalation di violenza riporta all’attenzione mediatica uno dei più irrisolti e dimenticati conflitti dei nostri tempi, quello israelo-palestinese.
Colpisce come dai media ufficiali l’oppressore venga immancabilmente trasformato in vittima e l’oppresso in terrorista. Al coro internazionale levatosi a sostegno del diritto di Israele a difendersi dai razzi lanciati da Hamas non ha fatto eco il diritto altrettanto legittimo del popolo palestinese a difendersi dall’espropriazione illecita di case e di terre e da una feroce occupazione militare che si protrae da oltre 50 anni. Occupazione noncurante di leggi internazionali e risoluzioni del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, responsabile di un sistema di controllo e segregazione razziale che anche organizzazioni israeliane per la difesa dei diritti umani come B’Tselem non esitano a definire un regime di apartheid.
Sarebbe importante quanto necessaria una analisi profonda sull’evidente scotomizzazione della realtà di oppressione che vive il popolo palestinese da parte dei media e dell’opinione pubblica internazionale e che forse non dovrebbe esaurirsi in considerazioni legate a interessi ed equilibri geopolitici. La politica di pulizia etnica messa in atto dal governo di Israele crea una profonda inquietudine nel riecheggiare una delle più grandi tragedie umanitarie del XX secolo di cui proprio il popolo ebraico è stato la principale vittima.
Per capire come si è innescato questo ennesimo scontro, che vede la Striscia di Gaza nuovamente teatro di una massiccia offensiva militare israeliana, ci avvaliamo della testimonianza diretta di Meri Calvelli che a Gaza vive e lavora da anni. Direttrice del Centro Italiano di scambio culturale VIK, fondato a Gaza City in memoria dell’attivista per i diritti umani Vittorio Arrigoni, Meri è una profonda conoscitrice della questione palestinese. Da anni è impegnata con la ong ACS in progetti di sviluppo e cooperazione a Gaza dove ha vissuto in prima persona i conflitti armati tra Israele e Hamas succedutisi a partire dalla vittoria alle elezioni nel 2006 di Hamas e dal conseguente blocco terrestre, marittimo e aereo imposto da Israele alla Striscia di Gaza.
Raggiunta telefonicamente, pone immediatamente l’accento su ciò che distingue questo conflitto dai precedenti. “Di Gaza - afferma con amara ironia - si parla solo quando cadono le bombe e alle bombe ci siamo abituati. Il fatto nuovo di questo conflitto è che è nato a Gerusalemme riportando alla ribalta il tema annoso di Gerusalemme capitale delle tre grandi religioni monoteiste.”
E’ importante ricordare che il Parlamento Israeliano, promulgando nel 1980 la Jerusalem Law, condannata dal Consiglio di sicurezza che l’ha definita una violazione del diritto internazionale, ha proclamato unilateralmente Gerusalemme capitale unica, indivisibile ed eterna dello Stato di Israele.
“Dal 13 Aprile, dagli inizi del Ramadan, il mese sacro del digiuno e della preghiera dei fedeli di religione islamica, Gerusalemme è stata lasciata alla mercé di gruppi di coloni violenti, autorizzati a girare armati, appartenenti alle fazioni della destra estrema sionista e nazionalista entrate a far parte del parlamento israeliano alle recenti elezioni. Questo - sottolinea Meri - non viene denunciato, riportato dai media. Artefici della distruzione di negozi di cittadini arabi, di scorribande nella Spianata delle Moschee, hanno aggredito e picchiato fedeli musulmani innescando una spirale di violenza che potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra civile.”
Come testimoniano i video che girano in rete, i coloni sono inoltre entrati con la forza nelle case delle famiglie arabe che abitano nel quartiere di Skeik Jarrah a Gerusalemme est dove sono in corso degli sfratti. Le azioni illecite di questi gruppi di coloni terroristi sono rimaste impunite mentre la polizia israeliana ha attaccato brutalmente manifestazioni pacifiche in difesa delle famiglie che rischiano lo sfratto, alcune trasferitesi a Skeik Jarrah con lo status di rifugiato nel ’48, anno della nascita dello Stato di Israele.
Potenti organizzazioni di coloni rivendicano la proprietà di quelle case, in alcuni casi apparentemente legittimati dal fatto che il terreno apparteneva ai loro avi ai tempi del dominio ottomano.
“I tribunali israeliani - precisa Meri - hanno già emesso le ordinanze di sfratto per decine di famiglie, momentaneamente bloccate dalla Corte suprema israeliana poiché la situazione si è fatta incandescente. La destra israeliana fondamentalista della società ebraica attraverso l’occupazione sta’ portando avanti una vera e propria pulizia etnica.”
Continua ricordando come a Gaza le grandi marce pacifiche del Ritorno dei venerdì, iniziate nel marzo del 2018, siano state stroncate dai colpi d’arma da fuoco sparati dai militari israeliani lungo il confine sulla popolazione indifesa, mentre Hamas che continua a lanciare razzi, nonostante non possa vincere militarmente Israele, incentiva e giustifica agli occhi del mondo la recrudescenza del contrattacco israeliano che colpisce non solo obiettivi strategici ma anche civili.
Il 10 Maggio, in risposta ai razzi lanciati dalla Striscia verso Israele dopo l’ultimatum rimasto inascoltato di Hamas che imponeva al governo di Israele di ritirare le truppe dalla Spianata delle Moschee e dal quartiere di Sheikh Jarrah, è stato diretto un attacco aereo israeliano a Beit Hanoun, nel nord della Striscia, che ha ucciso civili tra cui tre bambini intenti a giocare in un prato.
“Il prezzo più alto dello scontro a Gaza lo pagano i più deboli, le donne, i bambini. I progetti di cooperazione internazionale e gli scambi culturali mirano a incidere proprio sulla parte più vulnerabile della popolazione. ”Parla del progetto Green Hopes, una discarica abusiva trasformata in un parco multifunzionale con un tendone da circo e una pista di skateboard, un progetto rimasto interrotto a causa dell’emergenza Covid-19 e ripreso da qualche mese. “Ma ora tutto è da ricominciare. La forza d’animo del popolo palestinese è encomiabile ma ad un passo in avanti ne seguono sempre cento indietro.”
Elenca il numero dei palazzi distrutti dai bombardamenti israeliani e quello dei morti. Tornano alla mente le immagini delle macerie di Gaza quando vi arrivai insieme a lei e agli altri partecipanti del primo scambio culturale organizzato dal Centro VIK, poco dopo la fine dell’offensiva israeliana Margine Protettivo. Inaccettabile che dopo 7 anni di faticosa ricostruzione la popolazione di Gaza, già strangolata da un assedio che non possiamo che definire disumano e che dura da 15 anni, debba nuovamente confrontarsi con morte e distruzione.
Ricordo la voglia di ricominciare che leggevo negli occhi di uomini e donne, l’entusiasmo e la creatività delle giovani artiste che dipingevano sui muri di Gaza City.
La capacità d’immaginare e la speranza di una vita diversa non cessano fintanto la vita continua.