Scuola Permanente dell’Abitare


SPdA, Summer School 2018, OCRA Montalcino l’estetica in architettura | ciclo di incontri  23-27 Luglio 2018
23 Luglio: L’estetica come linguaggio della cultura      scarica programma

intervento di Franca Marini: 
l’estetica dell’arte contemporanea: dalla libera espressione all’arte sociale. Installazioni artistiche e interattività
Cercherò di sviluppare il tema di oggi, “L’estetica come linguaggio della cultura”, in riferimento alle arti visive, in particolare all’arte contemporanea attraverso un’analisi filtrata dalla mia esperienza e attività di artista.
Un genere artistico che negli ultimi decenni ha avuto un notevole sviluppo è l’installazione. Da rilevare innanzitutto le sue molteplici possibilità di rapporto e dialogo con l’architettura che possono raggiungere risultati inediti come nelle stupende installazioni interattive create dal collettivo Numen/For Use realizzate a partire dall’uso di nastro adesivo trasparente (foto 1-3). 

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1-3 Tape Florence Numen/For Use, Palazzo Strozzi, Firenze 2011

In generale tridimensionali, le installazioni possono essere realizzate con un’infinità di materiali, in alcuni casi si può trattare anche di installazioni sonore, luminose o digitali. Spesso sono opere effimere che vengono distrutte dopo il loro disallestimento, oppure flessibili smontate e riallestite in luoghi diversi [1]. Aspetto peculiare dell’installazione è il porsi sempre in rapporto a uno spazio che può essere sia interno che esterno, talvolta a scala urbana (foto 4).
[1] Barbara Ferriani, Marina Pugliese. Monumenti temporanei. Storia e conservazione delle installazioni Mondadori Electa, Milano 2009, p 11-12

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Umbrella Sky Project, Sextafeira, Agueda, Portogallo 2011

Alcune installazioni possono esistere solo in rapporto a un determinato spazio, assumendo quindi la connotazione d’opera site-specific, a differenza dell’opera scultorea o del quadro dipinto sul cavalletto che hanno invece un valore assoluto indipendente dalla loro collocazione. La realizzazione di installazioni è ciò che ha determinato il mio affrancamento dalla pittura che ho praticato per molti anni. Nell’attività pittorica il processo creativo si concentrava sul far emergere, dare forma sulla tela a mie immagini interiori; nella realizzazione di installazioni è entrato in campo un nuovo fondamentale elemento e cioè lo spazio abitato dal visitatore con il quale ho avvertito un ampliamento di possibilità interattive grazie alle caratteristiche “immersive” di questa forma artistica. 
In una delle mie più recenti installazioni, Transnational Migration and Immigration (foto 5-7), ho creato una sorta di percorso all’interno dell’opera che allude a un passaggio, a una trasformazione e che conduce il visitatore all’incontro con i volti di uomini e donne che hanno rischiato la morte. In questo caso si tratta di una installazione con struttura flessibile e che può essere quindi reinterpretata in relazione a un nuovo spazio. 

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5-7 Transnational Migration and Immigration Franca Marini, Human Rights Institute Gallery, kean University, Union, NJ 2018

Possiamo invece considerare un’installazione effimera l’opera site-specific Universal Language (foto 8-12) ispirata alla spazio architettonico, alla sua peculiare forma circolare. Una volta deinstallata, ha cessato di esistere.

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8-12 Universal Language Franca Marini, Queens College Art Center, New York 2009

In Liberazione (foto 13-16), opera site-specific permanente, ho scelto invece di interagire con il preesistente allestimento museale, in particolare con la proiezione, sul pavimento, del filmato realizzato con foto e riprese effettuate a Siena il giorno in cui è avvenuta la Liberazione della città, il 3 Luglio 1944.

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13-16 Liberazione Franca Marini, Stanze della Memoria, Istituto Storico della Resistenza Senese e dell'Età Contemporanea, Siena 2016

Caratteristica affascinante dell’installazione è la possibilità di creare scenari “totalizzanti” che costringono lo spettatore ad un diretto coinvolgimento con l’opera. Ciò fa sì che essa trovi spesso impiego in progetti di arte cosiddetta sociale. L’Arte sociale infatti, come vedremo, è sinonimo anche di arte partecipativa o relazionale, cioè può non riferirsi esclusivamente a opere che trattano tematiche sociali, ma anche a opere, interventi che vedono l’interazione e il coinvolgimento diretto del pubblico. 

Prima di entrare nel merito dei contenuti, delle forme e quindi dell’estetica di queste attuali pratiche artistiche, vorrei ricercarne le origini tracciando una sintesi del percorso svolto dalle arti visive a partire da quel momento storico, in Francia dopo la metà dell’Ottocento, in cui la rottura con i gusti del tempo dette adito alla creazione di un’estetica assolutamente nuova. Mi riferisco alla nascita dell’arte moderna [2].
Gli artisti rifiutano i dogmi dell’accademia e del naturalismo. La pittura in particolare, liberatasi dal giogo di riprodurre la realtà grazie alla recente scoperta della fotografia, darà origine a nuovi linguaggi espressivi che si succederanno in maniera incalzante per quasi un secolo. Si trasforma l’immagine dell’artista che si carica di soggettività. Pur facendo della realtà il proprio oggetto d’indagine, egli realizza immagini inventate frutto di una libera espressione [3]; con ciò intendo un fare artistico che nasce da un’esigenza espressiva e di ricerca propria dell’artista che da questo momento in poi non lavorerà più principalmente su commissione come era accaduto per secoli - della Chiesa soprattutto o di sovrani, aristocratici ecc.
Se volessimo definire il carattere saliente dell’estetica dell’arte moderna credo innanzitutto dovremmo da un lato evidenziare il rifiuto della mimesi, dall’altro il rifiuto del bello così come era inteso dall’Accademia. Les Demoiselle d’Avignon (foto 17), realizzato da Picasso nel 1907, è un quadro bello? Forse possiamo affermare che la sua bellezza risieda nell’essere espressione della fantasia dell’artista oppure nel suo porsi come immagine assolutamente nuova, nonostante i riferimenti all’arte tribale africana e alla ricerca sulla scomposizione in piani delle forme di Cezanne.

[2] Mario De Micheli. Le avanguardie artistiche del novecento Universale Economica Feltrinelli, Milano 1983, p.9
[3] per il concetto di “libera espressione” v. Massimo Fagioli, Bologna 1980. Realtà umana dell’artista e opera d’arte in “Il Sogno della Farfalla”, 4, 2001, p 5-11. Questo concetto è qui da me usato per indicare un’espressione artistica non generata da motivazioni coscienti da distinguere però da “l’arte per l’arte” e dal suo implicito carattere autoreferenziale.


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17 Les Demoiselle d’Avignon Pablo Picasso, 1907, MOMA, New York

Intorno agli anni dieci del Novecento, con il Futurismo e il Dadaismo comincia a delinearsi la volontà di superamento non solo dell’idea del bello ma anche dell’opera d’arte come oggetto estetico. Marcel Duchamp con i suoi readymades, primo fra tutti nel 1913 Ruota di bicicletta (foto 18), anticipa l’avvento negli anni sessanta dell’arte concettuale [4].

[4] per questi temi vedi: Domenico Fargnoli. Homo novus-novus homo. Psichiatria e arte Titivillus Edizioni, 2004, introduzione, p. 91-97
L’arte concettuale richiede un atto di fede, la credenza che la Ruota di bicicletta (1913) è l’O di Giotto. L’artista diventa il sacerdote di una metamorfosi religiosa dell’oggetto” Domenico Fargnoli in collaborazione con Simona Maggiorelli. Dialogo sull’arte, in “Arte senza memoria”, Carlo Cambi Editore, 2007, p.13


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18 Ruota di bicicletta Marcel Duchamp, 1913, MOMA, New York   

L’Espressionismo Astratto nato alla fine degli anni ’40 a New York sarà l’ultimo movimento artistico del ‘900 che cercherà di rappresentare il non visibile. Il primo specificatamente americano, produrrà un’estetica affrancata da quella europea e segnerà il passaggio della capitale mondiale dell’arte da Parigi a New York (foto 19). Le grandi superfici, la gestualità estemporanea scevra da ogni tentativo di racchiudere forme farà sì che questo movimento diventi espressione della libertà americana. 

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19-20 Jackson Pollock nello studio di Long Island, 1950 foto diHans Namuth

A questo nuovo emergere di irrazionalità si avrà una reazione di segno opposto poco dopo, negli anni ’60, con la Pop Art (foto 20): l’opera d’arte prodotta in serie diviene oggetto tra gli oggetti. 

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21 Marilyn Monroe Andy Warhol 1967

Seguiranno sempre a New York il Minimalismo (foto 21) fondato sull’oggettualità e non emozionalità dell’opera e l’arte concettuale preceduta, come abbiamo visto, dai ready made duchampiani. Una e tre sedie (foto 22) dell’artista americano Joseph Kosuth è considerata la prima opera di arte concettuale (1965).

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22 Galvanized Iron 17  Donald Judd, 1973 Museum Boijmans Van Beuninge, Rotterdam

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23 Una e tre sedieJoseph Kosuth 1965

Kosuth dichiara che “l’arte è soprattutto linguaggio e che non c’è nessuna relazione tra arte ed estetica poiché anche un bel tramonto può provocare una risposta estetica pur non essendo un’opera d’arte”[5]. L’arte concettuale decreta di fatto la fine della realizzazione dell’oggetto artistico. In ciò si attuava anche il rifiuto degli artisti alla riduzione del loro lavoro a merce e quindi al loro assorbimento all’interno della società dei consumi.
Ciò che è infatti importante sottolineare è che negli anni ’60 e ‘70, caratterizzati da una forte istanza di cambiamento e ribellione che coinvolse non solo il campo artistico ma in particolare il movimento studentesco e operaio, si assisté a un vero e proprio processo di smaterializzazione dell’opera.
Nascono nuovi linguaggi espressivi i cui precursori sono da trovarsi nelle serate futuriste e in quelle dadaiste al Caffe Voltaire: attraverso happenings e performances gli artisti intervengono direttamente nella realtà provocando il coinvolgimento del pubblico [6].
L’opera d’arte viene intesa non come prodotto finito ma come progetto in corso, il pubblico non come spettatore passivo ma come elemento attivo partecipe alla definizione dell’opera stessa. E’ in questo contesto che sorgono le prime installazioni di cui Allan Kaprow con i suoi environments è considerato un pioniere [7]. Uno tra i suoi più noti environments è Yard (foto 23), realizzato nel 1961 e recentemente riproposto al Museo Madre di Napoli.

[5] dall’intervista rilasciata a Londra (Askanews), in occasione della mostra “Colour in Contextual Play” alla Galleria Mazzoleni a Londra, 2017. Questa però potrebbe essere un’equiparazione impossibile poiché la risposta estetica – per usare l’espressione di Kosuth, causata da un’opera è intrinsecamente legata a un pensiero e a dei contenuti umani che l’artista esprime con forme e colori. Pensiero e contenuti umani che non esistono in un evento naturale.
[6] si colloca in questo contesto storico anche la nascita della Body Art per la quale il corpo è sia l'oggetto artistico che il campo d’indagine espressiva.
[7] importante precursore è Kurt Schwitter autore di Merzbau (1933), opera realizzata nelle stanze dello studio dell’artista a Hannover che furono invase da oggetti e strutture in maniera assolutamente astratta e casuale. Fondamentale contributo alla nascita della Installation Art in Europa negli anni sessanta è stato apportato dal movimento artistico internazionale Fluxus e dal Gruppo Gutai sorto in Giappone nel 1954.


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24 Yard Allan Kaprow, Marta Jackson Gallery, New York 1961 

L’artista riempì di gommoni usati il retro della Marta Jackson Gallery di New York trasformando lo spazio in una discarica e invitando i visitatori a camminare, sedersi, sdraiarsi sui pneumatici o a spostarli a loro piacimento.
Può essere interessante confrontare Yard con Sunflower Seeds di Ai Wei Wei (foto 24-26), realizzata per la Turbine Hall della Tate Gallery nel 2010.
Si tratta di una massive installation, circa mille metri quadri, dove l’artista ha fatto depositare 100 milioni di semi di girasole in ceramica realizzati e dipinti a mano. Anche questo, come quello di Kaprow, è un perfetto esempio di arte interattiva e partecipativa – termine questo coniato dalla studiosa Clare Bishop [8].

[8]  Claire Bishop. Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell'arte partecipativa Luca Sossella edizioni, 2015

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24-26 Sunflower Seeds Ai Wei Wei, Turbine Hall Tate Gallery, Londra 2010

I visitatori possono camminarci sopra godendo dello scricchiolio dei semi, modificarne la forma creando monticelli o piccole sculture. A ogni visitatore è permesso prenderne uno. Esistono dei punti di contatto tra Yard e Sunflower Seeds nonostante i circa quaranta anni che li separano. Manca però in Ai Wei Wei l’atteggiamento dissacratorio di Kaprow verso le istituzioni del mondo dell’arte. Artista cinese dissidente, immagine d’artista impegnato per antonomasia, dichiarata è la volontà in Ai Wei Wei di determinare attraverso il suo lavoro un pensiero critico nel visitatore: la massa dei semi di girasole crea una superficie compatta grigia metafora del popolo cinese, ogni individuo è però solo apparentemente uguale all’altro – ogni seme è infatti creato a mano. I girasoli richiamano il sole con cui veniva rappresentato Mao Tse-tung. 

A cosa possiamo attribuire questo recente revival di arte impegnata? Possiamo ipotizzare si sia determinato per reazione al postmoderno nato negli anni ottanta, caratterizzati dal collasso del comunismo sovietico e dal trionfo del capitalismo globale. Emerso come linguaggio estetico nel campo dell’architettura, si diffonde poi anche alle arti visive.
Il postmoderno si pone come negazione di quell’esigenza di progresso e innovazione incarnata dal modernismo. Decreta la fine della ricerca artistica ben presto assoggettata alle leggi del mercato e della finanziarizzazione. Si afferma l’estetica della citazione arbitraria a cui manca una tensione verso un nuovo o un compiuto. L’opera d’arte ci apparirà così priva di contenuti, contrassegnata casomai da prodezza dell’estetica, dell’apparenza e dell’edonismo se non dal kitsch [9] come testimoniano le opere dei due tra i più quotati artisti viventi al mondo, Jeff Koons e Damien Hirst(foto 28-29).

[9]  per un’analisi critica al postmoderno e al sistema internazionale dell’arte vedi Simona Maggiorelli. L’iconoclastia dell’arte contemporanea, in “Attacco all’arte. La bellezza negata”, L’asino d’oro edizioni, Roma, 2017, p.103-136


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28 Ballon dog, Jeff koons 1994-2000

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29 For the Love of God Damien Hirst 2007

Un’interessante interpretazione del ritorno al sociale dell’arte, che si è determinato dagli anni novanta in poi in parallelo al Art World [10], è quella di Claire Bishop che lo mette in relazione al crollo del comunismo (1989) e quindi alla necessità di ripensare l’arte in forma collettivista [11]. Questa sorta di attivismo artistico sviluppatosi in tempi recenti possiamo collocarlo all’interno di una rete globale che si oppone agli effetti e alle logiche disumanizzanti del neoliberismo e che tende ad un cambiamento non solo delle strategie di mercato ma anche delle relazioni sociali [12]. 
Fortissima è la valorizzazione dell’elemento locale come resistenza all’omologazione per effetto della globalizzazione. In campo artistico si moltiplicano progetti a carattere sociale attraverso il network mondiale delle residenze d’artista, in comunità e con associazioni locali, all’interno delle carceri e con gli abitanti dei quartieri. Interessante il progetto Isola Art Center a Milano (foto 30-31), progetto no budget, autofinanziato, in relazione al quale è nata la definizione di arte fight-specific per designare le opere degli artisti realizzate a sostegno della lotta degli abitanti contro piani urbanistici imposti dall’alto [13].

[10] per un approfondimento dell’Art World vedi Sarah Thornton. Il giro del mondo dell’arte in sette giorni, Feltrinelli, Milano, 2009
[11] A proposito della svolta sociale dell’arte contemporanea, la Bishop individua altri due momenti storici cruciali, il 1917 e il 1968 caratterizzati da profondi cambiamenti politici e sociali. La caduta del comunismo nel 1989 è il terzo punto di trasformazione. “Queste tre date, poste in triangolazione, formano la narrazione del trionfo, dell’ultima eroica resistenza e del collasso di una visione collettivistica della società”. Claire Bishop. Inferni artificiali. La politica della spettatorialità nell'arte partecipativa Luca Sossella edizioni, 2015, p.15
 
[12] vedi Franca Marini testo di presentazione del libro Attacco all’arte. La bellezza negata di Simona Maggiorelli, Libreria Mondadori, Siena, 24 Giugno 2017
https://www.francamarini.com/it/poetica-artistica-3/431-attacco-all-arte-la-bellezza-negata
https://vimeo.com/223079544?ref=fb-share&1&fbclid=IwAR2zeQ4N7P6AxMDTxdAuc4Wk3uGpAvtfv6WPUHMTzSCQQsveIIE4ZCXlVTM
vedi anche Raj Patel. Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, Feltrinelli, Milano 2010
[13] Bert Theis. Arte, spazio pubblico e trasformazione sociale all’Isola di Milano in “Paesaggio con figura”, a cura di G. Scardi, Umberto Allemandi &C, 2011, p. 227-234


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30 Collective portrait Paola Di Bello, Isola Art Center, Milano 2014

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31 Abbellimento Strategico Christoph Schäfer, Isola Art Center, Milano 2009

Oltre agli innumerevoli progetti sulla migrazione, l’artisti sempre più spesso sono coinvolti in progetti di rigenerazione urbana attraverso la Street Art o la realizzazione di orti comunitari urbani dove l’orto viene inteso sia come oggetto artistico che come oggetto relazionale [14]. Un esempio è L’albergo delle Piante (foto 32-34), un’installazione aperta realizzata da due artisti nella Cavea di Corviale con la collaborazione dei residenti e dei pazienti di un centro psichiatrico.

[14] per questo tema vedi Marjetica Potrc˘. Un oggetto relazionale in uno spazio condiviso in “Paesaggio con figura”, Umberto Allemandi &C, 2001, p. 216-219.

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32 Corviale, Roma

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33-34 L’Albergo delle Piante Rub Kandy e Angelo Sabatiello, Corviale, Roma 2015

La storica dell’arte Martina Giubila, a proposito dell’artista Cesare Pietroiusti, autore della nota opera Eating Money (foto 35) scrive: “ L’artista relazionale, abbandonando la produzione di oggetti tipicamente estetici, si adopera per creare dispositivi in grado di attivare la creatività del fruitore trasformando l’oggetto d’arte in un luogo di dialogo, confronto e, appunto, di relazione in cui perde importanza l’opera finale e assumono centralità il processo, la scoperta dell’altro, l’incontro” [15].

[15] Martina Giubila. Cesare Pietroiusti e la sua Arte Relazionale http://rivistadipsichiatria.it/r.php?v=2679&a=27446&l=330926&f=allegati/02679_2017_02/fulltext/06-Me%20pinxit%20(94).pdf

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35 Eating Money Cesare Pietroiusti, performance con Paul Griffith 2007

Un altro esempio di arte relazionale è il progetto Tre Tigri contro Tre Tigri-Tabrobane (2016), basato su un torneo di cricket con la partecipazione della comunità srilankese di Napoli, associazioni e operatori di arte contemporanea locali. Il progetto, che ha vinto il bando "Arte, patrimonio e diritti umani", indetto da Connecting Cultures, per taluni aspetti ricorda Stadium, l’opera che segnò il debutto di Maurizio Cattelan nel 1991 alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna: un tavolo di calcetto con su un lato giocatori della squadra del Cesena e sull’altro operai senegalesi che vivevano in Veneto (foto 36).

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36 Stadium Maurizio Cattelan 1991 

Questa nuova immagine di artista-attivista, che rischia di assomigliare troppo a un promotore o operatore sociale, si è diffusa a macchia d’olio in tutto il pianeta divenendo un vero e proprio trend per effetto di quella stessa globalizzazione che ci si propone di combattere. Il pericolo per gli artisti è quello di abbracciare la causa sociale non per una profonda, personale esigenza di contribuire a una trasformazione collettiva, ma per un’aderenza passiva, un adeguarsi a una sorta di nuova estetica che assicura forse un qualche spazio all’interno del network mondiale dell’arte ma al prezzo della negazione della ricerca di una propria autenticità. 

La rinuncia alla creazione dell’oggetto artistico, che personalmente non auspico quand’anche l’artista si cimenti con tematiche di tipo sociale o operi in contesti comunitari, potrebbe essere il limite di pratiche artistiche che non vanno oltre un’interazione cosciente con l’altro. La realizzazione dell’oggetto artistico si lega invece a quel fare in cui l’artista, mettendo tra parentesi il rapporto con la coscienza, può dar vita a forme e immagini frutto della fantasia ed espressione di un vissuto irrazionale capaci di creare uno stato di risonanza, un’interazione emotiva con l’altro che non si caratterizza così come spettatore passivo bensì come fruitore attivo che percepisce ed elabora i contenuti dell’opera attraverso il proprio vissuto e sensibilità. Artisti come Van Gogh, Munch, Cezanne seppur in solitudine hanno realizzato immagini che non erano solipsistiche. Inconsapevolmente hanno rappresentato una nuova visione del mondo ricercando una verità più vera di quella reale – come affermava Van Gogh [16].
A distanza di oltre un secolo le possibilità degli artisti di far parte di un processo trasformativo della realtà si sono ampliate grazie al loro coinvolgimento in progetti sempre più interdisciplinari, spesso finanziati anche da enti pubblici ma, come abbiamo visto, anche grazie alle potenzialità espressive di nuovi linguaggi artistici e, vorrei aggiungere, all’utilizzo di tecnologie digitali. Doveroso a questo proposito per lo meno ricordare il collettivo Studio Azzurro per le loro installazioni multimediali interattive di grande impatto emozionale (foto 37-38).

[16] Mario De Micheli. Le avanguardie artistiche del novecento, Universale Economica Feltrinelli, Milano 1983, p.32

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37-38 In Principio (e poi) Studio Azzurro 2013 

Vorrei concludere con quella che è stata una forma ante litteram di opera site-specific agli albori della storia dell’uomo, la pittura paleolitica (foto 39-40). I nostri antichi antenati si lasciavano suggestionare dalle forme naturali nelle grotte, come evidenziato dalle rocce dipinte nel soffitto della grotta di Altamira. Straordinaria la forza di queste raffigurazioni capaci di trasformare spazi naturali in luoghi.

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39 grotta di Altamira, Spagna, paleolitico superiore (circa 16.500 anni fa)

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40 grotta di Lascaux, Francia, paleolitico superiore (circa 17.500 anni fa)

Ma qual’era l’estetica di queste stupefacenti creazioni? Che cosa ne determina la loro toccante bellezza?
Il fatto che a distanza di migliaia di anni riescano ancora a emozionarci, ci dice del linguaggio universale dell’arte, della sua intrinseca capacità di rappresentare quel mondo indefinito fatto di immagini e di un sentire profondo che è caratteristica peculiare dell’umano.