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Esther Biancotti
testo di presentazione della mostra franca marini urban lines Palazzo San Galgano, Siena 2009
SanGalganoSquare, rassegna d’arte contemporanea a cura di Massimo Bignardi
Franca Marini è un’artista che dopo anni di soggiorno oltreoceano torna ad esporre nella sua città natia con l’opera Urban Lines, una scultura installata nel chiostro del Palazzo di San Galgano e un video che sarà proiettato in Aula Cinema. Entrambe le opere sono nate da una riflessione sulla metropoli newyorkese che l’artista sviluppa con due linguaggi diversi, quello plastico e quello dell’immagine in movimento. Due lavori che vivono momenti di contatto, relazionandosi con una serie di rimandi formali e concettuali, ma sempre mantenendo una propria autonomia artistica. La città diventa l’orizzonte di riferimento e il campo di esistenza dell’operare artistico, ma, al tempo stesso, lo spunto per esplorare una condizione intima che definisce un rapporto nuovo con la dimensione sociale e collettiva. Sono opere che si inseriscono coerentemente nel percorso artistico della Marini pur allontanandosi dal suo tradizionale modus operandi, da sempre fedele alla superficie bidimensionale, alla tecnica pittorica indagata in ogni suo aspetto, memore dell’action painting e dei muralisti americani ma, anche, della New British Sculpture degli anni Ottanta e Novanta.
La scultura Urban Lines è un’opera che si offre con una molteplicità di punti di vista, di prospettive, che chiede di essere attraversata dallo sguardo; un varco da superare, una ragnatela di fili brillanti che crea un ulteriore elemento in dialogo con lo spazio espositivo, non più rigido e vincolante bensì dinamico, mai univoco, soggetto a molteplici interpretazioni e primo stimolo nell’elaborazione dell’opera. Le forme si irradiano libere nello spazio, come radici di un mondo post-industriale riemerso dalle sue rovine, e ne dettano lo sviluppo compositivo: forme leggere, sospese, quasi d’impronta calderiana, ritornano alla base dopo aver raggiunto piani diversi, un movimento che dalla periferia si addensa verso il centro e da esso si allontana in un moto continuo.
Consequenziale è la scelta dei materiali utilizzati per la realizzazione della scultura: materiali industriali che ci parlano della città, su cui l’artista interviene con tagli, lacerazioni, bruciature e scritture con bombolette spray; materiali poveri, resi vivi da una fervida manualità, da una volontà di sperimentazione e di superamento dei rigidi schemi mentali. La matassa disomogenea evoca, attraverso il corpo plastico della scultura, la realtà urbana come un groviglio di relazioni sociali che si intrecciano casualmente tra di loro.
La stessa realtà sociale è lo spunto per l’ideazione del video Urban Lines: immagini rapide, veloci, frenetiche quasi rapite si alternano a elaborazioni computerizzate, a rendering di lavori precedenti, dove l’intersecarsi di linee e composizioni geometriche si sovrappone alle ramificazioni della scultura creando momenti di forte intensità emotiva. L’utilizzo abbondante, ma pienamente consapevole di ‘maschere video’ rende bene il senso di vuoto e spersonalizzazione che individua l’uomo qualunque che abita la grande metropoli: vuoto tradotto dalla giustapposizione di piani che si intrecciano e separano le figure, sovrapponendo ombre che si confondono e si perdono l’una nell’altra.
I rumori confusi della strada arricchiscono le partiture musicali appositamente composte per il video da Gianpaolo Cappelli & Car_Ma (Carlo Torrini e Maso Ricci). La musica segue l’andamento, ora concitato ora più soffuso, delle immagini: dai profili spezzati delle architetture e dei viali newyorkesi, animati dal frenetico movimento di una folla multirazziale fino alla quiete delle campagna toscana; una lenta progressione sonora sottolinea il finale del video su una panoramica di Roma, avvolta da un’atmosfera calda e umanizzata, filtrata da un occhio disilluso.
Tre realtà urbane differenti, tutte background dell’artista che, partendo dalla dimensione del viaggio, si fanno metafora della dinamica collettiva in cui l’individuo ritrova, nell’universalità del riferimento, l’intima certezza della propria esistenza.