Presentazione Percorso Artistico

 
in occasione della mostra Sogno di un nuovo mondo – opere recenti Museo dell’Antica Grancia, Serre di Rapolano, Siena
21 Luglio 2001

trascrizione della presentazione:
poeticapresentazioneweb(...) Quella che stasera vorrei presentarvi è una sintesi del mio percorso artistico partendo da San Francisco nell’anno 1990 per concludere con i quadri qui esposti dipinti in uno studio sulle colline senesi nei primi mesi di quest’ anno. Vorrei prima spiegarvi, in breve, perché nel 1990 mi trovavo a dipingere così lontano dalla Toscana, da Siena, la città dove sono nata.

Devo partire però dall’inizio e dire qualcosa sulla mia “vocazione” per la pittura che si manifestò in maniera improvvisa ed inaspettata all’età circa di 16 anni. Altrettanto improvvisa fu quindi la decisione d’iscrivermi all’Istituto d’Arte abbandonando gli studi scientifici che avevo da poco intrapreso. Devo dire però che questa subitanea passione per la pittura doveva invece avere delle solide basi poichè non mi avrebbe mai più abbandonata e si sarebbe poi sempre più intensificata ed arricchita di significati nel corso degli anni. In verità, la scelta d’intraprendere gli studi artistici avvenne in un periodo della mia vita segnato da grosse difficoltà sul piano emotivo e dei rapporti interpersonali. A posteriori, vorrei poter inserire tale scelta all’interno di un mio movimento inconscio mirato a superare il conflitto esistenziale che stavo attraversando in quegli anni. Rappresentava quindi il tentativo inconsapevole d’utilizzare la pittura per determinare un cambiamento, una trasformazione nella mia vita che avvertivo come necessità vitale. Questo profondo intreccio, rapporto tra arte e vita, il ripercuotersi nell’attività di pittrice dei miei stati d’animo ed il loro modificarsi nel complesso processo d’elaborazione dell’immagine, è una costante del mio lavoro d’artista tanto che ogni immagine può essere interpretata come una pagina del diario della mia esistenza.
Terminato l’Istituto d’Arte di Siena ho frequentato per quattro anni l’Accademia di Belle Arti di Firenze, determinata ad intraprendere la carriera di pittrice. Al termine di questo percorso accademico, dopo una serie di viaggi-studio nelle principali capitali europee, si evidenziò, ancora una volta in maniera piuttosto repentina, la necessità di una separazione, di un distacco da una quotidianità segnata dalla ripetizione e dall’isolamento che, in quel momento, avvertivo essere senza speranza. Così, alla fine dell’anno 1987, mi sono trovata, abbastanza inconsapevolmente e casualmente, a San Francisco dove all’inizio vivrò un periodo di grosse difficoltà legate anche e non solo al confronto improvviso, senza mediazioni, con una lingua straniera avvertita come ostile e con dei modi di vita ed un contesto culturale per me assolutamente nuovi e sconosciuti.
Di nuovo, la mia ricerca artistica, lo sforzo ad ogni costo di continuare a dipingere rappresenterà un punto di riferimento fondamentale, una specie di ancora di salvezza che mi aiuterà via via a non cedere, a non desistere di fronte alle difficoltà.
Le immagini con cui tra poco inizieremo la proiezione risalgono all’inizi dell’anno 1990 e sono precedute da due anni di lavoro caratterizzati da una lotta, spesso tenace, contro l’impossibilità a dipingere, come per un vuoto interiore che rendeva vano ogni tentativo di costruzione dell’immagine che spesso, immancabilmente, si risolveva nel trasformare la tela bianca in una superficie nera dove era impossibile percepire qualsiasi figura o forma, al massimo un’atmosfera indefinita, rarefatta come senza tempo. Intorno all’autunno del 1989 raggiunsi l’apice di questa crisi esistenziale….qualsiasi pennellata sembrava inutile e irrimediabilmente veniva subito cancellata.
In quel periodo frequentavo il San Francisco Art Institute, una tra le scuole d’arte d’avanguardia più importanti degli Stati Uniti attraverso la quale ero riuscita a conoscere il panorama artistico di quella città. Un mattino, presa nuovamente da un profondo sconforto, mi recai nella biblioteca di quella scuola dove in uno scaffale intravidi un libro su Paolo Uccello, pittore fiorentino del ’400 che era stato oggetto di una mia passione anni addietro, durante gli studi all’Istituto d’Arte.

Sfogliando quel libro fui improvvisamente assalita da una miriade di stimoli, la bellezza di quelle immagini variopinte era irresistibile…. avrei inserito un dettaglio, un particolare di uno di quei dipinti nel quadro al quale stavo lavorando e che avevo appena lasciato sul cavalletto nello studio al piano di sotto. Un quadro in cui per la verità dominavano il bianco e l’azzurro chiaro ma che sembrava rappresentasse soltanto un paesaggio, forse marino, caratterizzato dall’indeterminatezza, da un’atmosfera nebbiosa ed indecifrabile. Inserire quel particolare, all’interno della mia composizione nell’angolo in basso a destra, mi entusiasmava… come se l’immagine così creata corrispondesse ad una mia interna che finalmente ero riuscita a rappresentare. Oppure, forse, il frammento di Paolo Uccello aggiungeva alla mia immagine quel tocco di vitalità che in quel momento non riuscivo a trovare dentro di me e che ero costretta a cercare e prendere a prestito dall’esterno.
Vorrei sottolineare che da quel momento l’inserimento più o meno parziale, più o meno rielaborato di elementi della tradizione pittorica italiana ed in particolare senese del periodo tardo medievale - inizio rinascimento, sarà una costante di quasi tutto il mio lavoro degli anni ’90 eseguito negli Stati Uniti.





San Francisco 1990
Questa serie di quadri segna l’inizio della mia attività professionale vera e propria. Non solo perché con questi arrivano i primi successi, il rapporto professionale con una galleria, le prime mostre e vendite ma anche perché con essi incomincia a delinearsi una ricerca formale e la nascita di uno “stile” personale determinato, almeno in parte, da un maggiore rapporto con i miei strumenti di pittrice. Cioè da un rapporto più fisico, più coinvolgente con il dipingere. Stavo iniziando un processo che tendeva ad una fusione, ad una sintesi tra idea ed esecuzione, tra immagine e materia.
Prima, era un po’ come se l’aspetto mentale, ideativo dominasse su quello del fare e le immagini fossero impresse sulla tela invece che derivate, costruite dalla materia; fondamentali sono stati la ricerca e l’utilizzo di nuovi strumenti e materiali: spatola, pasta per modellare, carta velina stropicciata e applicata per strati con la colla sulla tela ecc..
Ogni quadro di questo periodo avrà un tempo di realizzazione abbastanza lungo e tormentato. La riuscita di ogni quadro potrà essere letta un po’ come il superamento di un conflitto, spesso accompagnato da sogni che si riferivano al processo di elaborazione dell’opera.
Vorrei dire qualcosa sul perché di questa mia fortissima attrazione verso certe opere pittoriche che si collocano tra la fine del trecento e l’inizio del quattrocento, periodo di transizione tra arte medievale e rinascimentale. Come sappiamo, i pittori senesi non accoglieranno pienamente la lezione rinascimentale fiorentina. Continueranno infatti a riferirsi alla tradizione pittorica narrativa medievale, aneddotica e un po’ naif, arricchendola però con la ricerca di una profondità spaziale assolutamente intuitiva anziché illusionistica e in qualche modo razionale come quella rinascimentale. Era come se nelle immagini di quei pittori percepissi la presenza di un’espressività che andava al di là del soggetto rappresentato e che caricava il quadro di una tensione, di un’atmosfera particolare e talvolta quasi magica.
Mi colpiva inoltre l’inserimento decontestualizzato di elementi che non avevano niente a che fare con il soggetto del quadro, sempre o quasi, religioso e che assumevano significati nuovi, indecifrabili, come i due giganteschi corvi neri nel cielo del quadro “S. Antonio tentato da un mucchio d’oro” del Maestro dell’Osservanza che dominano la scena ed appaiono essere i veri protagonisti. Oppure come la barchetta che sembra arenata nel prato verde e gli straordinari alberelli sullo sfondo dalle forme quasi umanizzate e piene di vita.





New York 1991-92
Intorno all’autunno 1990 una fase importante di ricerca sia personale che artistica cominciava a definirsi… percepivo di aver finalmente raggiunto quella sorta di piattaforma di base che mi avrebbe consentito di continuare ad affrontare ed esplorare nuove realtà senza soccombere. Insomma, mi sentivo pronta a compiere il grande passo… così, di lì a poco, agli inizi dell’anno 1991, mi trasferivo da San Francisco a New York, nella grandi metropoli statunitense.
I primi mesi di lavoro a New York sono segnati dall’insofferenza verso le atmosfere rarefatte dei miei dipinti che avevano caratterizzato anche le opere degli anni trascorsi a San Francisco. L’insistenza delle tonalità scure e dei bruni delle terre rendeva anche abbastanza problematica la loro esecuzione in quanto visivamente difficile distinguere le varie pennellate applicate sulla tela e quindi seguire il  formarsi dell’immagine. Dopo molti tentativi, intorno al maggio dello stesso anno, riuscii ad evidenziare un cambiamento anche questa volta aiutandomi con la pittura di Paolo Uccello nonché con la famosa barchetta di Ambrogio Lorenzetti (in "Paesaggio", recentemente attribuito dalla critica a Sassetta) che avevo già utilizzato in alcune opere del 1990 e che reinserirò poi, rielaborandola, in numerose altre.
Cominciano ad emergere delle forme, figure, mentre la tavolozza si arricchisce, non più rigorosamente limitata ai colori scuri.
Nelle opere dipinte intorno all’anno 1992, molte delle quali ispirate ad un’altra opera di Sassetta, "S. Antonio picchiato dai diavoli", s’accentua l’importanza non solo del soggetto delle immagini, ma anche della loro esecuzione. La materia s’ispessisce; il denso impasto di materie acriliche, applicato sulla tela quasi esclusivamente con la spatola, può solo essere aggiunto e non tolto. Le immagini si presentano come la risultante di molteplici strati di materia.
Incomincia inoltre a delinearsi quella che sarà una caratteristica di tutto il lavoro degli anni ‘90 e cioè il suo procedere per fasi. Lo svilupparsi di un’idea, l’insistere su un tema particolare fino al suo esaurimento, s’accompagnerà sempre alla trasformazione dello “stile” a conferma dell’impossibilità di separare il processo ideativo da quello esecutivo… come se un contenuto nuovo potesse emergere solo se costruito con forme nuove.
Il passaggio da una serie di lavori all’altra sarà sempre segnato da un periodo di transizione caratterizzato da un senso di vuoto, d’impotenza a creare; forse per una difficoltà a separarmi dall’elaborazione artistica precedente che rendeva poi impossibile intuire un qualcosa di nuovo da sviluppare.





La caduta degli angeli ribelli   New York 1994-96
Con questa serie di lavori, ispirata ad una omonima tavola del ’300, sento di essere finalmente riuscita a superare tutto il periodo precedente… finalmente posso tollerare immagini che hanno definizione, forme che emergono con i loro contorni da fondi dai colori vibranti e non più sommerse e soffocate da atmosfere rarefatte.
La loro realizzazione segnò un momento particolare…. per molti anni, forse tuttora, le ho ritenute le mie opere più importanti, in una parola, più “riuscite”, quelle di cui andavo più fiera; forse per la fusione raggiunta tra ideazione ed esecuzione (sono anch’esse dipinte con la spatola ed un ricco impasto acrilico), forse per il loro carattere monumentale e di grande impatto visivo o forse per i contenuti inconsci che esse rappresentavano di cui comunque non ero consapevole.
Per circa un anno dalla loro esecuzione non riuscii a produrre nessuna opera significativa; ogni tentativo si traduceva in una disperata, meccanica ripetizione del processo che mi aveva portata alla loro realizzazione. Insita in questa crisi c’era la convinzione, più o meno cosciente, di non poter, non solo superare, ma neppure più eguagliare quel livello artistico raggiunto.





Paesaggi interiori   New York 1994-96
Questa serie rappresenta il superamento della crisi seguita alla realizzazione degli “Angeli Ribelli” se non altro per essere riuscita a riprendere la mia ricerca sulle immagini. Forse non è un caso che la prima opera di questa serie, una piccola tela alla quale poi seguiranno con continuità tutte le altre, fu eseguita nel mio studio a Siena, durante un soggiorno estivo in Italia.
Potrei attribuire questa ripresa anche ad un cambiamento della tecnica pittorica. A livello cosciente infatti pensai che ciò mi avrebbe costretta ad una costruzione diversa dell’immagine e quindi a nuovi risultati; le opere di questa serie sono dipinte con colori ad olio, una tecnica pittorica che, tranne qualche esperimento sporadico, non praticavo da anni. La nuova tecnica permetteva un rapporto più intimo, addirittura organico tra l’idea e la sua esecuzione: le idee si trasformavano immediatamente nel movimento fluido e veloce del pennello intriso di colore senza intermediari, senza pesanti impasti da preparare prima e applicare poi sulla tela prima che si asciugassero. Potevo aggiungere e facilmente rimuovere le pennellate di colore così che un errore poteva essere facilmente corretto, un cambiamento improvviso effettuato, così come poteva essere facilmente ripristinato il colore precedentemente rimosso.
Pur facendo ancora uso di riferimenti all’arte senese, queste opere sono costruite in maniera abbastanza libera e personale. È stata la serie più ricca d’immagini, forse quella realizzata in maniera meno conflittuale e che ha riscosso maggiore successo sia professionale che commerciale.





Movimento invisibile
   New York – Siena (Montechiaro) 1997-1998
In queste opere si manifesta il tentativo di rappresentare la figura umana, di rappresentarne un movimento direi… interno, comunque indecifrabile, non certo e che forse allude ad un fare “primitivo”; immagini atmosferiche, come non a fuoco, che rimandano ad una realtà che non è quella tangibile, materiale.
Sono realizzate senza lo studio di un modello ma servendomi di alcuni scatti fotografici e costruite con una miriade di pennellate di colori diversi poste una accanto all’altra il cui movimento definisce ora lo sfondo, ora, delicatamente, la figura. Quest’ultima non ha contorni definiti e non prevale mai sullo sfondo con il quale è invece intimamente connessa.





Emergenza   New York – Siena (Montechiaro) 1998-1999
L’elemento di continuità con la serie precedente è rappresentato dalla presenza della figura umana ora però costruita dalla linea che ne determina i contorni ed inserita in uno spazio più certo e definito.
Con questa serie emerge infatti, pur a livello embrionale, un interesse sulla linea. Incomincia cioè a formarsi l’idea di costruire delle forme che partano dalla linea nera, dal suo movimento, anche se questo tema, che verrà poi riaffrontato nella serie di dipinti successiva, “Sogno di un nuovo Mondo”, qui esposta,  non riesce veramente a svilupparsi in queste opere. Le linee nere infatti, che spesso campeggiano sullo sfondo, s’interrompono senza soluzione di continuità in prossimità delle figure che sembrano essere più che costruite, racchiuse dalla linea.
Il limite maggiore di questi dipinti, ultimati alla fine dell’anno 1999, mi è parsa la loro struttura, in generale piuttosto rigida e basata su un disegno iniziale. Questa è forse la serie più figurativa che io abbia mai realizzato. Nuovamente l’inserimento di elementi tratti dalla pittura medievale come la barchetta di Ambrogio Lorenzetti ed il diavoletto del Sassetta. Le figure umane sono invece tratte da dipinti di Tiziano e Rubens.



SognoNuovoMondoPOETICA pagina

Sogno di un nuovo mondo   Siena (Montechiaro) 2000-2001
La fine della serie precedente è seguita da una profonda crisi, di nuovo dall’esigenza vitale di far emergere un nuovo ed allo stesso tempo dall’impossibilità totale a creare immagini. Quasi tutti i tentativi di pittura si risolveranno in immagini scurissime in cui a malapena s’intravedono delle linee appena colorate. Comunque, dominava in me la sensazione d’inutilità, d’impotenza a far emergere un’idea che potesse avere una qualche consistenza.
Per intensità, potrei paragonare questa crisi all’altra altrettanto radicale, affrontata circa 10 anni prima a San Francisco. Devo dire che è stata simile e non uguale disponendo questa volta, credo poter affermare, di una vitalità maggiore. Anche il modo in cui l’ho risolta è stato diverso. Infatti, l’esigenza che ora avvertivo fortemente era quella di riuscire ad ideare i miei quadri in maniera direi, improvvisata, senza cioè far ricorso a nessun elemento precostituito sia che fosse la barchetta di Ambrogio Lorenzetti o le figure di Tiziano o comunque a nessuna traccia di disegno verso cui avvertivo una sorta di profonda insofferenza.
Provai a lavorare su carta, materiale che fino ad allora avevo sempre rifiutato perché ritenuto troppo fragile, quasi inconsistente. Ora invece il foglio di carta mi stimolava a cercare un’immagine sapendo che avrei comunque potuto facilmente accartocciarlo e gettarlo via per iniziare di nuovo su un altro bianco.
Per la realizzazione di queste opere sono partita dalla linea, da linee colorate che nel loro intrecciarsi e nel loro movimento creano una forma senza però chiuderla, definirla rigidamente. A questa struttura ne fa da contrappunto una sullo sfondo, definita quasi geometricamente da linee nere sfumate. Sono presenti all’interno della mostra anche alcuni dei lavori su carta eseguiti nell’anno 2000 perché servono a comprendere i dipinti realizzati successivamente.
Molti mi hanno chiesto il perché ed il significato delle lettere nere. In realtà non so esattamente, posso però dire che l’idea è seguita di poco a quella di lavorare sulla linea e che mi è stata suggerita da un lavoro collettivo di preparazione ad una mostra alla quale ho partecipato con un gruppo di amici artisti. Un pomeriggio, entrando nello studio dove settimanalmente c’incontravamo, la mia attenzione è stata catturata da un mucchio di lettere ritagliate di legno e lasciate in un angolo dello studio. Immediatamente le immaginai nere, nerissime. Ne tentammo la realizzazione di una scultura che però non venne completata. Pensai poi d’inserirle nei miei nuovi dipinti dove mi dibattevo tra il rifiuto ad introdurre figure riconoscibili e l’angoscia dell’astrazione. Le lettere, alludendo al linguaggio, avevano un senso che però, nonostante fossero esse figure definite, risultava misterioso, indecifrabile. Comunque, avvertivo come necessaria la loro presenza nelle mie nuove opere.
I lavori esposti in queste sale non rappresentano certamente un punto d’arrivo, piuttosto l’inizio di una ricerca ancora da sviluppare… devo dire però che il percorso seguito per la loro realizzazione mi ha aperta a qualcosa di assolutamente nuovo.