Silvia Bandini - Esther Biancotti
catalogo della mostraReconstrucción en rojo Nuevas Obras Galería Nacional, San Josè, Costa Rica, 2005, p. 49-50
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Per Franca Marini l’opera è un corpo vivente che si modifica, si perfeziona e si trasforma per fare dell’immagine un messaggio non cosciente: nasce vagamente e gradualmente viene scoperta.
Il prender corpo dell’emozione da cui parte la sua gestualità è determinante, si affida all’improvvisazione per allontanarsi dalla razionalità. Spontaneo un riferimento agli artisti dell’Action Painting dai quali però si discosta: soggetto del suo lavoro non è il segno dove si imprime l’emozione ma l’immagine che per lei deve sempre possedere dei contenuti. Così, la linea, il colore, la materia diventano strumenti che utilizza per rappresentare un “qualcos’altro” presente nel suo inconscio.
Per comprendere la recente ricerca è necessario ripercorrere gli ultimi anni della sua attività artistica durante i quali la sperimentazione di nuovi materiali, necessaria per la scoperta di nuovi orizzonti, s’accompagna ad un approfondimento del rapporto tra opera e spazio.
Nella serie Condensazione (2002-2004) l’immagine nebulosa è interamente costruita da un collage di piccoli pezzi di carta che nel loro sovrapporsi raggiungono una stratificazione che sembra alludere alla terza dimensione; tridimensionalità che si materializza nella scultura Nascita con colore (2003-2004) dove i singoli frammenti di carta colorata sono trasformati in piani netti intersecati tra loro.
Coinvolge lo spettatore a 360 gradi invitandolo ad un’esplorazione totale in cui lo sguardo viene catturato dal movimento avvolgente delle forme e dalla progressiva scoperta degli inserimenti in ceramica colorata, punti di luce che scandiscono il ritmo della visione.
Quando invece l’artista affronta la bidimensionalità, lo spazio lo estende: lo aggira, lo risolve con soluzioni sempre diverse, non vuole vincoli, rimane sulla tela finché questa non le pone limiti, ma se è obbligato, se soffoca le idee, ecco che ne esce e lo “sconvolge”.
In Rappresentazione teatrale (2004-2005) palesa la necessità di uscire dalla rigidità del formato rettangolare per dialogare con lo spazio attorno. Una griglia di colori vivaci apre il sipario del teatro in cui riappare la linea, assente dalla serie Sogno di un nuovo mondo (2000-01). Al di sopra del pannello forme geometriche irregolari di ceramica variopinta sembrano come appoggiate in maniera casuale e gradualmente scendere sulla superficie pittorica dove rimangono impigliate.
Nonostante l’allusione ad una scena teatrale, nell’immagine non si percepiscono figure definite ma solo un gioco di forme indecifrabili che inspiegabilmente ci toccano e ci commuovono. Un linguaggio semplice, quasi arcaico e al tempo stesso ricercato e filtrato.
Nelle sale della Galería Nacional de Costa Rica, assistiamo ad una ulteriore elaborazione del concetto di spazio che, ci rivela l’artista, nasce dall’esigenza di amplificare la potenza comunicativa dell’opera per stabilire totale empatia con colui che la guarda ricordandoci che lo spazio dove essa vive è il medesimo in cui si muove lo spettatore.
Sono opere relazionabili al momento dell’implosione che attrae e non libera perchè, se guardate attentamente, possono perdere il loro contorno ossia il legame con la realtà circostante portando chi le osserva verso un altrove lontano ed ovattato. Rappresentano la fusione della vena lirica dell’artista appassionata e fragile con la sua definizione stilistica distaccata e cristallina raggiunta attraverso un lento e progressivo approfondimento di doti espressive e di abilità innate.
Ricostruzione in rosso, protagonista assoluta dell’esposizione, è un’installazione realizzata in maniera estemporanea proprio in queste sale. Parallela alla ricerca sullo spazio è evidente la ricerca sui materiali: la carta velluto stimola nell’osservatore la percezione tattile e potrebbe divenire spontaneo avvicinarsi per sfiorarla, sentirla, viverla. E’ una materia con la quale l’artista stabilisce un rapporto diretto, che sfida, piega ed infine taglia per arrivare ad un’armonia che dia significato allo spazio. Attraverso i tagli appare la parete, il rosso intenso della carta velluto ed il bianco assoluto dello spazio si compenetrano cercandosi reciprocamente.
E’ un’opera piena di luce, una luce intrinseca alla materia che è di una forza che ti emoziona.
Agisce e reagisce nello spazio, lo attiva, lo comunica e attraverso essa si trasforma e si modifica rendendo noi spettatori partecipi di un sentire intimo e solitario ma ricco e vitale: rosso è il fluire del sangue, è energia che scorre nelle vene ramificate della materia che spinge lo spettatore a lasciarsi ipnotizzare alla ricerca di fluidi mentali che costituiscono l’interiorità, un’interiorità fatta di luce ed ombra.
Franca Marini riesce con agilità ed immediatezza ad introdurre nella sua opera questi due opposti attraverso il gioco di ombre create dalle fessure ritagliate in sagome nette proiettate sulla parete.
Dopo la frammentazione della materia...nonché la frammentazione dell’io, giunge alla creazione di una interezza attraverso l’uso di fili di lana colorati che permettono, tramite il “ricucire”, l’unione e l’accostamento di singole parti.
Questo nuovo processo di ricostruzione viene vissuto dall’artista come l’evoluzione della precedente esperienza del collage: evoluzione avvenuta in maniera inconsapevole così come si dichiara inconsapevole del legame da lei stabilito con l’antico lavoro di tessitura delle popolazioni pre-ispaniche.
Il “filo” la porta indietro nel tempo, la proietta nella memoria stratificata di generazioni e mondi lontani che ancora fanno sentire viva la loro presenza. È la “buena onda” che scorre in quel filo...il lavoro delle mani passate che sfiorano la sua memoria.
Lei stessa a posteriori s’interroga sul significato del suo utilizzo: è consequenziale? ...è causale? Sicuramente, afferma, non è casuale perché rivela un reale significato che il suo inconscio ha trasportato nell’opera. Non può esserci un’interpretazione univoca, ognuno trova ed interpreta il suo “filo” all’interno della memoria collettiva che si fa percorso individuale di colui che osserva.
Franca Marini riesce a sorprenderci nuovamente nell’altra opera di grandi dimensioni, Pensare / Fare dove i modi della “bella pittura” sembrano eccezionalmente fondersi all’istantaneità di esecuzione dei graffitisti attraverso l’uso disinvolto delle vernici spray.
I fili colorati rivestono ancora un ruolo importante e con molteplici significati.
Il supporto si forma dall’unione di carte geografiche cucite tra di loro con un filo di spago nel tentativo di annullare distanze che l’artista percepisce essere non materiali ma soprattutto mentali ponendosi in sintonia con i temi sui quali la società contemporanea si dibatte: i confini ed il loro superamento, la mescolanza di linguaggi e di culture.
Nell’immagine si delineano le sagome di due ampie mani che ci comprendono all’interno di una spazialità globale; è una mano che cerca l’altra mano, l’una protende verso l’altra pur percependosi diverse, é l’uomo protagonista di un confronto complesso tra le diversità di popoli, è la realtà cosmopolita e multicolore della sua esperienza newyorkese che sembra voler recuperare. I fili mettono in rapporto le due sagome tra di loro ed intrecciandosi vanno a creare una moltitudine di forme colorate. Fuggono poi dall’opera, ne espandono i confini per andare a cercare punti dello spazio circostante.
Il filo del pensiero si fa unione e permette di mettere in relazione elementi lontani ed eterogenei; fili sottilissimi del pensiero, parole alate che fanno incontrare mondi diversi.