magazine cover realized with a still image of un sogno a Gaza / a dream in Gaza video by Franca Marini
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Lo spazio è limitato, le nostre idee non lo sono article by Franca Marini in Left weekly magazine, n. 52 Dec 30 2017-Jan 5 2018 pp.17-19 download article pdf
L’arte è un linguaggio universale che caratterizza l’uomo fin dagli albori della civiltà, capace di oltrepassare distanze culturali e temporali, capace di opporsi all’isolamento di quasi due milioni di persone in quella che è tristemente definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo: la Striscia di Gaza. Un bellissimo lembo di terra bagnato dal mare, antichissimo passaggio tra due continenti, da dieci anni sotto l’assedio delle forze militari israeliane.
Arte oltre il muro, la rassegna dedicata a Gaza svoltasi dentro gli spazi dell’Università degli Studi di Siena e conclusasi la scorsa settimana, è nata “ (…) con l’intento di riportare l’attenzione su un contesto culturale e sociale attraversato da complesse tensioni politiche, ma allo stesso tempo caratterizzato da uno spirito resiliente che permette agli abitanti di Gaza di affrontare con dignità e consapevolezza la vita quotidiana. I mezzi artistici diventano veicolo di autorappresentazione e racconto del popolo palestinese. L’arte torna ad essere strumento conoscitivo e narrativo, oltre che di denuncia sociale”. Sono le parole delle brillanti curatrici, Marta Lonzi e Valeria Palleschi, le due studentesse che insieme all’associazione Link Siena hanno promosso e fortemente voluto la realizzazione di questo progetto creato con il contributo dell’Università degli Studi di Siena e con la collaborazione del collettivo Shababik Gaza, Fotografi Senza Frontiere ed il Centro Italiano di Scambi Culturali VIK di Gaza.
artwork by Shareef Sarhan
La rassegna ha ospitato la mostra Windows from Gaza, con le opere dei pittori gazaui Basel El Maqousi, Shareef Sarhan e Majed Shala, e la retrospettiva fotografica che celebra i venti anni di attività di Fotografi Senza Frontiere, una onlus che realizza laboratori di fotografia in aree critiche e marginali del mondo, dal 2010 anche a Gaza. Dalla collaborazione tra FSF e gli artisti gazawi nasce il progetto Windows from Gaza, dal nome del loro collettivo, Shababik Gaza fondato nel 2003. “La nostra speranza – affermano gli artisti – è che le nostre opere possano diventare una finestra tra Gaza e il mondo”.
artwork by Basel El Maqousi
Tra gli eventi inclusi nella rassegna anche la presentazione di due opere filmiche realizzate da autori italiani che hanno fatto di Gaza il soggetto delle loro rappresentazioni, StripLife e un sogno a Gaza. Il docufilm StripLife – Gaza in a Day, uscito nelle sale nel 2013, diretto da Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa e Andrea Zambelli, vede la sola partecipazione di attori locali. “Il film nasce da un progetto collettivo (…). Non un film su Gaza, ma con Gaza” come viene precisato nelle note di regia.
Ultimo evento della rassegna la presentazione di un sogno a Gaza, un’opera di video arte filmata nella Striscia tra il dic 2014 e il gen 2015 durante il 1° Festival di Scambio e Formazione Italia-Gaza organizzato da Meri Calvelli, coordinatrice del Centro Vik, circa 4 mesi dopo la fine di Margine Protettivo, l’ultima e più cruenta offensiva militare israeliana, la terza succedutasi nella Striscia di Gaza in meno di sei anni. I media internazionali, indifferenti alle sofferenze di una popolazione strangolata da un embargo senza precedenti che indiscriminatamente subisce la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, quello della libertà di movimento, vi accendono puntuali i riflettori appena vi divampano scenari di fuoco. Le immagini, drammatiche, che entravano nelle nostre case ci dicevano di un conflitto spietato verso la popolazione inerme senza scampo, intrappolata in un teatro di morte. Dopo la fine delle ostilità le luci, come sempre, si spensero. Gaza tornava ad essere un luogo dimenticato e inaccessibile, un limbo ai margini del mondo dove la minaccia di morte, l’accendersi subitaneo di un nuovo conflitto, continuava ad incombere sulla vita. Emerse profonda l’esigenza di un confronto con quella realtà, l’esigenza personale di apportare il mio contributo di artista a quegli uomini e donne le cui condizioni di vita mi apparivano inaccettabili quanto irreali.
Il Festival rendeva possibile l’ingresso nella Striscia di Gaza del primo gruppo di lavoro di un paese straniero dalla fine del conflitto. L’incontro con la popolazione locale fu dirompente. L’entusiasmo e lo slancio vitale nell’accoglierci, inaspettato e bellissimo. I segni della distruzione violenta erano ancora ovunque ma negli abitanti di Gaza forte era la volontà di guardare avanti - di riiniziare la vita - come afferma il ragazzo protagonista di un sogno a Gaza, determinato attraverso il Parkour a realizzare il suo sogno di libertà. Uno sport, il Parkour, che insieme all’espressione artistica è diventato simbolo della resistenza non violenta a Gaza.
Straordinarie le studentesse, giovani promettenti artiste, costrette nei lunghi ed eleganti vestiti tradizionali, le teste coperte dal hijab, intente a sradicare con determinazione dal terreno rami secchi, pezzi di lamiera arrugginiti per la realizzazione delle loro opere oppure dipingere sui muri di Gaza City a fianco degli studenti maschi nonostante il divieto da parte del direttivo della loro università, Al Aqsa University, che dal 2013 ha introdotto un codice di abbigliamento femminile ed imposto classi separate.
E’ importante ricordare che la popolazione di Gaza, dal 2007, con la presa di potere da parte di Hamas, è stata oggetto di una duplice oppressione e limitazione delle libertà personali: da una parte l’assedio e il blocco imposto da Israele e dall’altra il processo di islamizzazione voluto dal governo. “Con l’arrivo al potere di Hamas – racconta Meri Calvelli – si determina l’arresto dello sviluppo culturale nella Striscia voluto dall’ala più ortodossa attraverso la chiusura di centri d’arte, associazioni culturali e sportive, il divieto fatto ad artisti di esibirsi in pubblico, come ai rappers”. Meri Calvelli vive ed opera instancabilmente da anni a Gaza ed è tra i fondatori del Centro Italiano per gli Scambi Culturali nato in memoria di Vittorio Arrigoni, l’attivista e pacifista ucciso da un gruppo di salafiti nella Striscia nel 2011. Il Centro si è fatto promotore di importanti iniziative culturali, artistiche e sportive che hanno visto la collaborazione tra associazioni, insegnanti e professionisti italiani e gazaui. Al Festival del 2014 ne seguiranno altri. “Da allora – continua Meri Calvelli – alcune cose sono cambiate, innanzitutto, almeno in parte Gaza è stata ricostruita. Inoltre il Centro, che in questi anni ha portato avanti una vera e proprio diplomazia culturale, ha cominciato ad ottenere l’appoggio da parte del Ministero della Cultura che ha forse compreso l’importanza di un’apertura”. Tra le novità più significative l’avvio dei lavori per la riapertura dell’unica sala cinematografica di Gaza e l’inizio dello scambio Erasmus+ finanziato dalla CE tra l’Università degli Studi di Siena e due università di Gaza.
Nonostante alcuni segnali di cambiamento, gli artisti a Gaza continuano a operare in una condizione di pressoché totale isolamento in un territorio dove la priorità dei suoi abitanti è assicurarsi la sopravvivenza. Le condizioni di vita rimangono infatti durissime. Secondo un rapporto recente di Oxfam nella Striscia, una delle aree più densamente popolate del mondo e con il più alto tasso di disoccupazione, è in corso un’emergenza umanitaria e una crisi energetica ancora più allarmanti di quelle registrate subito dopo il conflitto del 2014.
Rassegne come Arte oltre il muro rivestono grande importanza. Gli studenti che con determinazione l’hanno realizzata invitano a interrogarsi sui significati e le forme che l’espressione artistica e la cultura più in generale possono assumere in un mondo sempre più globalizzato, segnato da conflitti irrisolti e da crisi umanitarie epocali.
L’arte da sola non può trasformare il mondo ma può costituirsi come opposizione vitale all’annientamento della propria persona. La capacità d’immaginare e il fluire del pensiero nell’uomo sono inarrestabili, così come scrivono i nostri artisti gazaui: “the space around us is limited, the ideas in us are unlimited” (lo spazio intorno a noi è limitato, le idee dentro di noi non hanno limiti - trad. dr).
L’arte è un linguaggio universale che caratterizza l’uomo fin dagli albori della civiltà, capace di oltrepassare distanze culturali e temporali, capace di opporsi all’isolamento di quasi due milioni di persone in quella che è tristemente definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo: la Striscia di Gaza. Un bellissimo lembo di terra bagnato dal mare, antichissimo passaggio tra due continenti, da dieci anni sotto l’assedio delle forze militari israeliane.
Arte oltre il muro, la rassegna dedicata a Gaza svoltasi dentro gli spazi dell’Università degli Studi di Siena e conclusasi la scorsa settimana, è nata “ (…) con l’intento di riportare l’attenzione su un contesto culturale e sociale attraversato da complesse tensioni politiche, ma allo stesso tempo caratterizzato da uno spirito resiliente che permette agli abitanti di Gaza di affrontare con dignità e consapevolezza la vita quotidiana. I mezzi artistici diventano veicolo di autorappresentazione e racconto del popolo palestinese. L’arte torna ad essere strumento conoscitivo e narrativo, oltre che di denuncia sociale”. Sono le parole delle brillanti curatrici, Marta Lonzi e Valeria Palleschi, le due studentesse che insieme all’associazione Link Siena hanno promosso e fortemente voluto la realizzazione di questo progetto creato con il contributo dell’Università degli Studi di Siena e con la collaborazione del collettivo Shababik Gaza, Fotografi Senza Frontiere ed il Centro Italiano di Scambi Culturali VIK di Gaza.
artwork by Shareef Sarhan
La rassegna ha ospitato la mostra Windows from Gaza, con le opere dei pittori gazaui Basel El Maqousi, Shareef Sarhan e Majed Shala, e la retrospettiva fotografica che celebra i venti anni di attività di Fotografi Senza Frontiere, una onlus che realizza laboratori di fotografia in aree critiche e marginali del mondo, dal 2010 anche a Gaza. Dalla collaborazione tra FSF e gli artisti gazawi nasce il progetto Windows from Gaza, dal nome del loro collettivo, Shababik Gaza fondato nel 2003. “La nostra speranza – affermano gli artisti – è che le nostre opere possano diventare una finestra tra Gaza e il mondo”.
artwork by Basel El Maqousi
Tra gli eventi inclusi nella rassegna anche la presentazione di due opere filmiche realizzate da autori italiani che hanno fatto di Gaza il soggetto delle loro rappresentazioni, StripLife e un sogno a Gaza. Il docufilm StripLife – Gaza in a Day, uscito nelle sale nel 2013, diretto da Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa e Andrea Zambelli, vede la sola partecipazione di attori locali. “Il film nasce da un progetto collettivo (…). Non un film su Gaza, ma con Gaza” come viene precisato nelle note di regia.
Ultimo evento della rassegna la presentazione di un sogno a Gaza, un’opera di video arte filmata nella Striscia tra il dic 2014 e il gen 2015 durante il 1° Festival di Scambio e Formazione Italia-Gaza organizzato da Meri Calvelli, coordinatrice del Centro Vik, circa 4 mesi dopo la fine di Margine Protettivo, l’ultima e più cruenta offensiva militare israeliana, la terza succedutasi nella Striscia di Gaza in meno di sei anni. I media internazionali, indifferenti alle sofferenze di una popolazione strangolata da un embargo senza precedenti che indiscriminatamente subisce la violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, quello della libertà di movimento, vi accendono puntuali i riflettori appena vi divampano scenari di fuoco. Le immagini, drammatiche, che entravano nelle nostre case ci dicevano di un conflitto spietato verso la popolazione inerme senza scampo, intrappolata in un teatro di morte. Dopo la fine delle ostilità le luci, come sempre, si spensero. Gaza tornava ad essere un luogo dimenticato e inaccessibile, un limbo ai margini del mondo dove la minaccia di morte, l’accendersi subitaneo di un nuovo conflitto, continuava ad incombere sulla vita. Emerse profonda l’esigenza di un confronto con quella realtà, l’esigenza personale di apportare il mio contributo di artista a quegli uomini e donne le cui condizioni di vita mi apparivano inaccettabili quanto irreali.
Il Festival rendeva possibile l’ingresso nella Striscia di Gaza del primo gruppo di lavoro di un paese straniero dalla fine del conflitto. L’incontro con la popolazione locale fu dirompente. L’entusiasmo e lo slancio vitale nell’accoglierci, inaspettato e bellissimo. I segni della distruzione violenta erano ancora ovunque ma negli abitanti di Gaza forte era la volontà di guardare avanti - di riiniziare la vita - come afferma il ragazzo protagonista di un sogno a Gaza, determinato attraverso il Parkour a realizzare il suo sogno di libertà. Uno sport, il Parkour, che insieme all’espressione artistica è diventato simbolo della resistenza non violenta a Gaza.
Straordinarie le studentesse, giovani promettenti artiste, costrette nei lunghi ed eleganti vestiti tradizionali, le teste coperte dal hijab, intente a sradicare con determinazione dal terreno rami secchi, pezzi di lamiera arrugginiti per la realizzazione delle loro opere oppure dipingere sui muri di Gaza City a fianco degli studenti maschi nonostante il divieto da parte del direttivo della loro università, Al Aqsa University, che dal 2013 ha introdotto un codice di abbigliamento femminile ed imposto classi separate.
E’ importante ricordare che la popolazione di Gaza, dal 2007, con la presa di potere da parte di Hamas, è stata oggetto di una duplice oppressione e limitazione delle libertà personali: da una parte l’assedio e il blocco imposto da Israele e dall’altra il processo di islamizzazione voluto dal governo. “Con l’arrivo al potere di Hamas – racconta Meri Calvelli – si determina l’arresto dello sviluppo culturale nella Striscia voluto dall’ala più ortodossa attraverso la chiusura di centri d’arte, associazioni culturali e sportive, il divieto fatto ad artisti di esibirsi in pubblico, come ai rappers”. Meri Calvelli vive ed opera instancabilmente da anni a Gaza ed è tra i fondatori del Centro Italiano per gli Scambi Culturali nato in memoria di Vittorio Arrigoni, l’attivista e pacifista ucciso da un gruppo di salafiti nella Striscia nel 2011. Il Centro si è fatto promotore di importanti iniziative culturali, artistiche e sportive che hanno visto la collaborazione tra associazioni, insegnanti e professionisti italiani e gazaui. Al Festival del 2014 ne seguiranno altri. “Da allora – continua Meri Calvelli – alcune cose sono cambiate, innanzitutto, almeno in parte Gaza è stata ricostruita. Inoltre il Centro, che in questi anni ha portato avanti una vera e proprio diplomazia culturale, ha cominciato ad ottenere l’appoggio da parte del Ministero della Cultura che ha forse compreso l’importanza di un’apertura”. Tra le novità più significative l’avvio dei lavori per la riapertura dell’unica sala cinematografica di Gaza e l’inizio dello scambio Erasmus+ finanziato dalla CE tra l’Università degli Studi di Siena e due università di Gaza.
Nonostante alcuni segnali di cambiamento, gli artisti a Gaza continuano a operare in una condizione di pressoché totale isolamento in un territorio dove la priorità dei suoi abitanti è assicurarsi la sopravvivenza. Le condizioni di vita rimangono infatti durissime. Secondo un rapporto recente di Oxfam nella Striscia, una delle aree più densamente popolate del mondo e con il più alto tasso di disoccupazione, è in corso un’emergenza umanitaria e una crisi energetica ancora più allarmanti di quelle registrate subito dopo il conflitto del 2014.
Rassegne come Arte oltre il muro rivestono grande importanza. Gli studenti che con determinazione l’hanno realizzata invitano a interrogarsi sui significati e le forme che l’espressione artistica e la cultura più in generale possono assumere in un mondo sempre più globalizzato, segnato da conflitti irrisolti e da crisi umanitarie epocali.
L’arte da sola non può trasformare il mondo ma può costituirsi come opposizione vitale all’annientamento della propria persona. La capacità d’immaginare e il fluire del pensiero nell’uomo sono inarrestabili, così come scrivono i nostri artisti gazaui: “the space around us is limited, the ideas in us are unlimited” (lo spazio intorno a noi è limitato, le idee dentro di noi non hanno limiti - trad. dr).